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Interviste: Antonella Ponziani, il Bello di una Donna

E’ entrata nelle case di tutti gli italiani come protagonista de Il bello delle donne, ma Antonella Ponziani ha conosciuto il cinema dei “Gradi Maestri”. Precoce, inizia a studiare teatro a quindici anni, ma già a ventidue, arriva l’esordio nel film La Bonne di Salvatore Samperi.

Nel 1987 il grande Federico Fellini la sceglie per il ruolo di una ragazzina nel film Intervista. Nel 1993 ottiene il David di Donatello e il Nastro d’argento come miglior attrice protagonista per il film Verso sud di Pasquale Pozzessere. Fa parte inoltre del cast di Ferie d’agosto di Paolo Virzì. Come regista, ha diretto il film L’ultimo mundill nel 1999.

Visto che stiamo facendo una intervista che verrà pubblicata su SFILATE.it, le chiedo subito  cosa pensa della comunicazione telematica e delle potenzialità di Internet?

“Penso che le potenzialità della comunicazione via Internet siano enormi e abbiano scoperto, ormai da anni, nuovi modi di vivere e di lavorare. Questo mezzo di comunicazione lo vedo come un’opera incompiuta, che tu puoi arricchire e cambiare in ogni momento, e quindi questo stimola la fantasia, perché sai che arrivi a tantissime persone molto rapidamente. Questo soddisfa pienamente la mia personalità irrequieta, mai paga e soddisfatta, ma sempre col desiderio di migliorare ed evolversi, proprio come Internet”.

La sua carriera non poteva iniziare meglio, nel 1987 viene scelta da Federico Fellini per il film “Intervista”. Quali insegnamenti le ha lasciato un maestro come lui?

“Sicuramente un insegnamento che poi è legato anche al modo in cui ci siamo incontrati: osare di fare qualcosa che inizialmente si ha paura di fare e che sembra essere solo un sogno irraggiungibile. Poiché nel momento stesso in cui si osa tentare, scopri che ce l’hai fatta. Quando andai a cercare Fellini, senza nessun appuntamento, osando sperare di poter lavorare immediatamente con lui, successe. Lui apprezzò molto questo mio spirito di iniziativa, quindi il mio motto è “chi osa vince”. E’ stato un impatto forte iniziare con quel tipo di cinema internazionale, era un’ebbrezza, e credo che quello che mi sia rimasto sia proprio la forza di un essere umano che crede in qualcosa, anche nel voler materializzare il suo mondo interiore di sogni, di fantasia e di speranze, cioè di colorare, di vedere il lato più poetico della vita. Ogni volta che lui riusciva a fare un film, era sempre un po’ un miracolo, data la mole di soldi e persone coinvolte, nella situazione in cui si trova il cinema italiano”.

Sappiamo che lei nutre una grossa passione per la musica jazz e la poesia, suona il sax ed è una delicata disegnatrice. Pensa che questa ampiezza di “vedute” in campo artistico, le sia stata d’aiuto per l’attività di attrice?

“Mi è stata fondamentale per la mia vita, prima di tutto. Avere varie possibilità espressive mi da la sensazione di libertà di cui ho bisogno. Prima di lavorare con Fellini, ho iniziato a frequentare jazzisti, scoprendo il mondo meraviglioso del jazz e del blues, e mi ha talmente riempita che mi ha fatto dimenticare la frustrazione degli inizi. Essendo protagonista della mia musica ero felice. In più la musica mi ha dato quella morbidezza, quella musicalità, quel ritmo, che giocano un ruolo molto importante nell’interpretazione di un personaggio”.

Tornando ai film da lei interpretati, arriviamo al bellissimo “Soldati” di Marco Risi e il grottesco “Tango Blu” di Bevilacqua, che annoverava un ricchissimo cast per “cinefili”. Come giudica queste due esperienze?

“Certo, “Soldati” fu una bella esperienza, c’era un bellissimo clima di amicizia e infatti non mi sono stupita del successo avuto. “Tango Blu” effettivamente era un’esperienza grottesca quanto era grottesco il film. Ero l’unica giovane del film mentre tutti avevano carriere avviatissime alle spalle, erano tutti molto più grandi di me, c’erano due generazioni tra di noi, e in quel periodo sperimentai la solitudine, pur lavorando”.

Trovo molto interessante l’esperimento di trasposizione cinematografica dell’opera “Crack” di Franco Bertini, melodramma a mio avviso molto vicino per temi ad un moderno “Rocco e i suoi fratelli”. Lei è stata protagonista di entrambe le versioni e da qui l’eterno dilemma: meglio il cinema o il teatro?

“Sono due esperienze difficilmente paragonabili, due modi diversi di essere attore. Io personalmente amo di più il cinema, perché è qualcosa che fai una volta, è irripetibile, e poi vai avanti con nuovi progetti. Però amo anche il teatro, soprattutto quando e’ legato alla musica. Ad esempio, amerei fare un musical”.

“Un’altra vita” di Mazzacurati e “Verso Sud” di Pozzessere la impongono definitivamente all’attenzione della critica,tanto da riuscire,con il secondo di questi, ad aggiudicarti i prestigiosi David di Donatello e Nastro d’Argento.
Nonostante ciò, ha sempre continuato una sorta di “ricerca” dei copioni “giusti” senza lasciarsi intrappolare dal cinema di cassetta. Come ha fatto a restare con i “piedi per terra” dopo queste notevoli affermazioni personali?

“Non mi sono mai sentita “arrivata”. Ogni premio e riconoscimento è stato per me un nuovo punto di partenza, non di arrivo. Sicuramente la mia ingenuità ha giocato un grosso ruolo, non mi sono mai resa conto di quanto fosse importante essere famosi, talmente ero concentrata sulla voglia di diventare sempre più brava a dare e ricevere emozioni. Ci sono dei film, che sono dei punti di riferimento importanti nella mia vita. Mi hanno aiutata a vivere meglio, ed io ho sempre puntato ad essere in grado di fare qualcosa di simile”.

“Le donne non vogliono più” di Pino Quartullo, la vede co-protagonista nell’inedito e divertente ruolo di una ragazza omosessuale con forte desiderio di maternità, regalandoci una interpretazione molto misurata.
In quale genere crede di trovarsi maggiormente a suo agio?

“Io mi sono sempre sentita molto portata a fare ruoli brillanti, tragicomici. Alle volte le persone a me vicine mi chiamano “cartone animato”. Ma se ho interpretato così tanti ruoli drammatici, è perché dentro di me c’era un dolore, che doveva essere espresso”.

La carrellata di grandi registi con i quali ha avuto la fortuna di lavorare continua con Monicelli e “Cari fottutissimi amici” che la vede al fianco di un altro grande del cinema italiano, Paolo Villaggio…..

“Ogni film è un’esperienza unica, come sono uniche le persone. Incontrare e lavorare con Monicelli che aveva realizzato molti dei film italiani che avevo amato e visto ripetutamente, tipo “L’armata Brancaleone”, che avevano riempito la mia infanzia, fu emozionante. Con Paolo Villaggio il film è continuato anche fuori dal set, è una persona che ha tra i vari pregi il gusto del giocare sempre, qualità che io apprezzo molto”.

Nuovo film, nuovo premio…il “Ciak d’oro” per “Ferie d’agosto” di Paolo Virzi’.
Di questo film come del recente “Le Sciamane” mi resta forte il ricordo di un bravissimo attore, Piero Natoli. Che ricordo ha di lui?

“Natoli era un mio amico, ha realizzato i film che voleva come regista, e come attore ha fatto molte interpretazioni indimenticabili. L’ultimo film che stava realizzando come autore, ha un titolo che riassume il suo modo di pensare: “Il mondo e’ fatto a scale”. Natoli era un ribelle e non ha mai fatto nulla per essere ‘famoso’, ha sempre messo avanti nella sua vita le persone, gli amici, e la gioia di stare con chi gli piaceva veramente prima di ogni altra cosa. Pensare a ‘Ferie d’Agosto’ e le ‘Sciamane’ mi fa venire tanta nostalgia”.

Cosa l’ha spinta a passare dall’altra parte della cinepresa, per realizzare i suoi “corti” e soprattutto il divertente lungometraggio “L’ultimo Mundial” con Alessandro Haber e Angelo Orlando?

“Ho sempre saputo che l’avrei fatto. Amo troppo “disegnare”, raccontare delle storie attraverso dei volti, e non necessariamente attraverso il mio. Infatti avevo già realizzato tre cortometraggi prima dell’Ultimo Mundial, e l’Ultimo Mundial stesso doveva essere il quarto cortometraggio, ma poi è diventato un film ed è stata un’esperienza bellissima, molto divertente che a tutti noi del film ha unito molto, e tutt’ora ci vediamo e stiamo insieme. Ho soprannominato il gruppo “I soliti soggetti”…”.

Un piccolo ma intenso ruolo è quello interpretato in “Metronotte” accanto a Diego Abatantuono. Il film purtroppo non ha avuto il successo che meritava, e a proposito di questo volevo chiederle se crede che ci sia la possibilità in Italia, di abbinare più spesso consenso popolare a qualità dell’opera.

“Sicuramente sì, se la qualità è abbinata alla parola “spettacolo”. Ultimamente il cinema italiano sta tornando di nuovo alla riscossa”.

Un clamoroso successo televisivo è stata la fiction “Il bello delle donne”, che l’ha vista accanto a “regine” come Virna Lisi e Stefania Sandrelli. Cosa le ha lasciato questa esperienza?
“E’ bello avere successo. Sentivo dentro di me che questa fiction sarebbe piaciuta perché arrivava alle persone con semplicità e le persone potevano identificarsi. Il rapporto con queste due attrici, così come con tutte le altre, è stato piacevole. Siamo state molto collaborative tra di noi, e l’esperienza nell’insieme è stata molto positiva”.

Per concludere, vuole lanciare un messaggio telematico ai lettori di SFILATE.it?
“Quello che ho notato in questi anni, è che le persone che continuano a credere nei loro sogni ed ideali e che lottano per perseguirli (e non è facile certe volte resuscitare dallo sconforto), che non si adeguano agli schemi che questa società impone per ottenere certi risultati, ma mantengono pulita la propria dignità e onestà, sono sicuramente più felici. Il mio messaggio è semplice ed e’ in fondo quello di cui parliamo spesso con le mie amiche, e cioè che siamo noi, cominciando dal piccolo, da noi stessi, ad invertire la rotta ‘del morte tua vita mia’ in cui siamo precipitati.

Redazione

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