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Scarpe: “Non c’è più la mezza stagione”

“Non c’è più la mezza stagione” sembra essere un’affermazione che si applica al sistema calzaturiero e ai modelli di produzione utilizzati dalle aziende del settore.

In effetti, una ricerca dal titolo “Le calzature a doppia velocità. Il settore calzaturiero e i quick producers” realizzata dall’Area Studi Diomedea per Expo Riva Schuh –l’appuntamento fieristico internazionale dedicato al prodotto di volume e organizzato da Riva del Garda Fierecongressi a Riva del Garda nei mesi di gennaio e giugno – mette in evidenza una tendenza che da qualche anno sembra farsi strada nel settore calzaturiero: le collezioni non sono più presentate e consegnate nelle tempistiche usuali delle due stagioni Primavera/Estate e Autunno/Inverno, ma sempre di più aumenta la quota di produzione “fuori stagione”. Collezioni veloci adatte per gli ultimi acquisti di stagione oppure, al contrario, collezioni presentate molto in anticipo per permettere alla grande distribuzione un maggior numero di mesi di programmazione.
L’esito? Le aziende progettano e producono sempre più a ciclo continuo e con sovrapposizioni continue tra collezioni estive e quelle invernali.

La ricerca ha preso in considerazione, con questionari quantitativi e interviste qualitative, complessivamente circa 200 produttori italiani e stranieri, espositori della manifestazione fieristica di Riva del Garda, e oltre 800 visitatori (a cui si aggiungono le informazioni di tutti gli accreditati on line per oltre 7.000 risposte) tra dettaglio, piccole catene, grandi catene e grande distribuzione.

Escludendo i riassortimenti, la ricerca ha messo in luce che il 25% delle calzature è venduto sulla base dei modelli “fuori stagione”, ovvero quelli sviluppati al di fuori delle due collezioni stagionali principali. Tenendo in considerazione la fascia di prezzo media e medio-bassa a cui si rivolge la manifestazione rivana, si stima che tale percentuale rappresenti circa 600 milioni di euro (prezzi retail di sellout) e 33,6 milioni di paia vendute sul mercato italiano. Si tratta di una quota di consumo interno di circa l’8% del totale, se misurato in valore, e del 17% se misurato in numero di paia.

“Anche nel settore calzaturiero si sta affermando una logica simile a quella del fast fashion dell’abbigliamento – spiega Enrico Cietta, responsabile dell’Area Studi Diomedea e coordinatore dalla ricerca. Si tratta della quick production, ovvero di una strategia che utilizza tempistiche creative ritardate, poiché si presentano minicollezioni più tardi, e tempistiche produttive accelerate, poiché si produce dai 30 fino al massimo 60 giorni. La combinazione di questi due processi consente al produttore di correggere la propria collezione e al distributore di integrare i propri acquisti con le ultime tendenze del mercato.”

Anche nelle calzature quindi il modello del fast fashion messo in atto nel settore abbigliamento sembra farsi strada e modificare quelle che sono le tempistiche tradizionali, non solo nelle presentazioni delle collezioni, ma anche negli acquisti dei buyer.

“Il modello del fast fashion applicato nell’abbigliamento, sia da catene internazionali come Zara e H&M che da piccole aziende italiane come Patrizia Pepe, Pinko, Liu Jo solo per citarne alcune, sta interessando anche il settore delle calzature – spiega ancora Enrico Cietta. Ci sono però due importanti differenze: innanzitutto occorre tener conto della complessità della costruzione della scarpa che non permette tempi produttivi particolarmente accelerati se non a particolari condizioni. In secondo luogo, la quick production non è un modello che riguarda specifiche realtà aziendali; nella calzatura non ci sono produttori specializzati, ma aziende che integrano e modulano le due tipologie produttive: quella del programmato con tempistiche lunghe e quella più flessibile con tempistiche accelerate. Proprio per le specificità produttive della calzatura si tratta di una strategia trasversale a diverse realtà aziendali, piuttosto che, come nell’abbigliamento, un modello di business adottato da alcune specifiche aziende.”

Attraverso questa strategia le aziende tendono ad andare incontro sempre di più alle richieste del mercato e dei buyer: il crescente numero di modelli presenti nelle collezioni e la scomparsa di veri e propri trend stagionali finiscono per far crescere l’incertezza e quindi la paura di sbagliare.
“I buyer di Expo Riva Schuh hanno da sempre frequentato la nostra manifestazione perché è la prima della stagione, a gennaio per l’A/I successivo e a giugno per la P/E successiva – afferma Brigitta Bancher, responsabile di Expo Riva Schuh. E’ l’occasione per visionare in anteprima la collezione, fare i primi ordini oppure fare delle campionature per poi acquistare in un momento successivo. Oggi però sempre di più i compratori cercano anche la stagione che avevano visto l’edizione precedente della manifestazione: a giugno comprano ancora l’autunno/inverno, che è già in consegna, e a gennaio la primavera/estate. Questi acquisti ritardati riguardano, dalle nostre indagini, circa il 35% dei visitatori della nostra manifestazione.”

“Come tutte le manifestazioni – commenta Giovanni Laezza, direttore di Riva del Garda Fierecongressi – Expo Riva Schuh è un organismo vivo e vediamo in anticipo alcuni fenomeni: abbiamo constatato da un po’ di tempo che cresceva la quota di visitatori appartenenti al dettaglio indipendente o alle piccole e piccolissime catene. Una presenza che non sembrava in linea con il target della manifestazione, che si rivolge prevalentemente all’offerta per grandi volumi. In realtà, una buona parte di questi visitatori è in cerca di quick production per ultimare i propri acquisti di stagione. Tra il dettaglio, circa il 46% è interessato alla quick production.”

Il progressivo spostamento verso tempistiche ritardate di presentazione di parte della collezione è confermata sia dagli espositori che dai visitatori della manifestazione. Tra i circa 200 espositori “quick producer” l’80% ritiene che sia in aumento la tendenza ad acquisti ritardati. Su un campione significativo di visitatori si ottiene lo stesso tipo di risultato: il 77% ritiene che negli ultimi 5 anni questa modalità di acquisto è aumentata, ma l’88% ritiene che vi sarà una crescita nei prossimi 5 anni. Significa che questo fenomeno nella calzatura è appena iniziato e non ha ancora raggiunto il suo massimo, ma è una tendenza che si confermerà anche nei prossimi anni.

La paura di sbagliare è solo parte della spiegazione dell’affermazione della quick production perché alcuni produttori hanno trovato proprio in questa modalità uno strumento per “allungare” la vita del prodotto.

“Come nell’abbigliamento, ma molto più che nell’abbigliamento – prosegue Brigitta Bancher – chi propone più mini-collezioni nella stagione non lo fa mai ripartendo da zero. Nella calzatura, in particolare, occorre tener conto dei vincoli di produzioni molto più stringenti: dalla materia prima agli accessori, dalle suole ai tacchi, gli stessi componenti sono un vincolo al rinnovamento dei modelli”.

“Per questa ragione – conclude Giovanni Laezza – si parte dal presupposto che non tutto deve essere rifatto: la quick production è, anzi, un modo per allungare la vita di un investimento creativo perché, se è vero che il design viene rivisto più volte, ciò che viene proposto nella coda della stagione viene poi ripreso nella corrispettiva stagione successiva. I modelli che appartengono alla minicollezione finale dell’estivo 2010, infatti, potranno essere ripresentati anche nella collezione principale della P/E 2011.”

Insomma, la quick production, che comunque richiede ai produttori uno sforzo creativo e produttivo addizionale, è però anche un modo per ottimizzare i costi e ripartire il rischio tra le diverse collezioni all’interno di una stagione di vendita.

Redazione

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