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Categories: Benessere

L’avocado aumenta il senso di sazietà e fa bene al cuore

Finalmente uno studio americano che ci dovrebbe piacere. Infatti secondo le ultime ricerche sembrerebbe che l’avocado sia un alimento che se consumato con regolità, può venirci d’aiuto per le patologie cardiovascolari.

La ricerca dell’Università della Pennsylvania si è concentrata sulla varietà Hass ed è stata presentata nel corso dell’American Society for Nutrition Scientific Sessions and Annual Meeting at Experimental Biology.
Ma è lo stesso dottor Li Wang, colui che ha coordinato le ricerche a spiegare: «il consumo di avocado diminuisce il numero delle particelle di colesterolo LDL piccolo e denso nei soggetti in sovrappeso e obesi».

Il colesterolo “piccolo e denso” è quello che preoccupa di più i medici perché rappresenta il principale fattore di rischio cardiovascolare. I ricercatori hanno esaminato un campione di soggetti obesi o in sovrappeso, assegnandoli in maniera casuale al consumo di un avocado della varietà Hass o a una dieta senza avocado, ma in ogni caso a basso tenore di grassi.

Secondo Wang e il coautore dello studio Penny Kris Etherton, anche se tutte le diete – con pochi grassi – diminuivano il colesterolo LDL (LDL-C), solo la dieta a base di avocado era in grado di diminuire significatamene il numero di particelle di lipoproteine (LDL-P).
Con la dieta a basso dosaggio lipidico e senza avocado, infatti, non vi era alcun cambiamento importante delle LDL-P.

Inoltre, i ricercatori hanno potuto evidenziare come la dieta a base di avocado sia stata in grado di ridurre il colesterolo piccolo e denso e il colesterolo ossidato: entrambi fattori elevati di rischio cardiovascolare.
La docente di Nutrizione presso l’ateneo statunitense Kris-Etherton spiega: «come nuova ricerca pubblicata sui fattori di rischio di CVD, stiamo imparando che non può essere semplicemente il livello di colesterolo LDL che conta, ma piuttosto il numero di particelle, le dimensioni, la densità e la modifica in particolare ossidativa delle particelle LDL. La ricerca sta iniziando a mostrare come le piccole particelle LDL dense, in particolare, possono avere più probabilità di essere ossidate e formare placche nelle arterie rispetto alle grandi, particelle di LDL galleggianti».

«I nostri risultati mostrano che vi è qualcosa di unico nell’avocado, al di là del suo contenuto di acidi grassi monoinsaturi, che ha contribuito a diminuire in particolare le piccole e dense LDL in soggetti sani adulti sovrappeso e obesi», conclude Wang.

Del resto l’avocado ha già dato prova di sé come ausilio per dimagrire. Uno studio, coordinato dal prof. John Sabate, presidente del Dipartimento di Nutrizione della Loma Linda University, ha coinvolto un piccolo campione di 26 soggetti sani in sovrappeso. L’introduzione dell’avocado nel regime alimentare prevedeva la sostituzione di un altro alimento o l’aggiunta del frutto.

La ricerca, commissionata dall’Hass Avocado Board e pubblicata sul Nutrition Journal, ha indagato l’eventuale efficacia dell’avocado sullo sviluppo del senso di sazietà, oltre che sui livelli di glicemia, sulla risposta insulinica e sul successivo consumo di cibo durante il resto della giornata.
Dai risultati è emerso che i partecipanti che avevano aggiunto mezzo avocado al loro pranzo mostravano un calo dell’appetito del 40 per cento per un periodo di 3 ore dopo il pasto e del 28 per cento per le successive due ore, se paragonato al senso di fame avvertito dopo un pranzo normale. Inoltre, i partecipanti hanno riferito anche un maggior senso di soddisfazione, pari al 26 per cento, oltre tre ore dopo il pasto.

“La sazietà è un fattore importante nella gestione del peso perché le persone che si sentono soddisfatte hanno meno probabilità di fare uno spuntino tra i pasti. Abbiamo anche notato che, sebbene aggiungendo l’avocado vi sia stato aumento dell’apporto di calorie e carboidrati nei partecipanti, in base a quanto osservato non c’era stato aumento nei livelli di zucchero nel sangue dopo aver mangiato il pranzo. Questo ci porta a credere che l’avocado abbia un ruolo potenziale nella gestione degli zuccheri nel sangue che merita ulteriori indagini”, ha spiegato il prof. Sabate.

Di Raffaella Ponzo

Redazione

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