Estate nuova dieta nuova. Infatti eccola. Bella, pronta e confezionata. Stiamo parlando della dieta Dash, acronimo di Dietary Approaches to Stop Hypertension, ovvero Approcci dietetici per controllare l’ipertensione.
I principi su cui si fonda il regime alimentare sono pochi, ma chiari. Innanzitutto, riduzione sostenibile delle porzioni di cibo nei piatti e varietà nell’alimentazione per non “annoiare” l’organismo.
Quindi nessun divieto e nessuna preclusione, ma entro i limiti consentiti. Il vero nemico della dieta Dash è il sale. Il regime ne prescrive un uso massimo di 2300 mg al giorno, suggerendo di sostituirlo quando possibile con le spezie.
Si tratta di una dieta nata negli anni ’90 e pensata in primo luogo per aiutare quelle persone che soffrono di ipertensione. Il suo apporto calorico varia dalle 1700 alle 3100 calorie a seconda della struttura fisica del paziente. Nonostante il suo approccio di scopo, volto a consentire un abbassamento dei valori pressori, la dieta è divenuta molto popolare, tanto che centri famosi come la Mayo Clinic la considerano un ottimo strumento per “proteggere il paziente nei confronti di ictus, malattie cardiache, cancro, diabete e osteoporosi”.
Alcuni ricercatori dei National Institutes of Health hanno confrontato la dieta Dash con altri tre regimi dietetici, sottolineando la capacità della prima di promuovere le buone abitudini alimentari.
Secondo i ricercatori, “i pazienti affetti da ipertensione che hanno seguito la dieta hanno avuto un calo medio di 6 mmHg della pressione sistolica e 3 mmHg della pressione diastolica”.
Uno studio pubblicato sulla rivista Circulation: Cardiovascular Quality and Outcomes spiega che la Dash “riduce il rischio di infarto 10 anni, soprattutto tra gli afroamericani”.
Un altro studio pubblicato sull’American Journal of Kidney Diseases rivela invece la capacità del regime alimentare di ridurre il rischio di insorgenza dei calcoli renali La ricerca ha analizzato 41 persone, alcune delle quali hanno seguito la dieta Dash, mentre un altro sottogruppo ha seguito un regime povero di ossalati per 8 settimane. Nel caso del primo gruppo il rischio si è ridotto del 35 per cento, mentre la diminuzione del rischio di calcoli si è attestata al 14 per cento nel secondo gruppo.
Il consiglio spesso offerto dai nefrologi è quello di un’alimentazione povera di ossalati, sostanze che si legano al calcio all’interno dei reni formando cristalli urinari. Il rispetto di questo precetto alimentare però è piuttosto complicato, dal momento che gli ossalati si trovano anche in cibi salutari molto importanti per l’organismo come ad esempio gli spinaci, i fagioli bianchi, le patate dolci, le mandorle o le barbabietole. Evitarli totalmente si tradurrebbe in un regime alimentare assai restrittivo, mentre al contrario la dieta Dash è più semplice da seguire
Un piccolo trucco alimentare per evitare la formazione dei calcoli è quello di mangiare insieme cibi ricchi di calcio e di ossalati. Ciò che sembra una contraddizione è in realtà un sistema per far sì che le sostanze si leghino già nello stomaco o nell’intestino senza coinvolgere i reni.
Nella versione da 2000 calorie giornaliere, la dieta Dash prevede il consumo di 6/8 piccole porzioni di cereali al giorno, a scelta fra pane, riso e pasta, 4/5 porzioni di verdura e 4/5 di frutta, 2/3 porzioni di latticini a basso contenuto di grassi, latte scremato o yogurt e 6 porzioni di pesce, pollame o carne magra. I dolci non sono banditi, ma ovviamente devono costituire uno sfizio da concedersi ogni tanto e non un’abitudine. Nella dieta ne sono previste 5 porzioni alla settimana.
L’aspetto più complicato della dieta risiede in realtà nella corretta interpretazione delle quantità suggerite. Per porzione, infatti, si intende una precisa unità di misura ormai standardizzata negli Stati Uniti e difficilmente traducibile in Europa. I regimi dietetici d’oltreoceano fanno riferimento alle “cups”, traducibili con “tazze”, ma che in realtà indicano un contenitore cilindrico con il manico e misure espresse nel sistema anglosassone e non in quello metrico. Approssimativamente, si può convertire la “cup” in una normale tazza da tè.
Di Raffaella Ponzo
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