Mariù di Maria Rosa De Sica, alta moda e made in Italy

Maria Rosa De Sica ci racconta i primi due anni di Mariù, il brand di alta moda che ha creato insieme al fidanzato Federico.

Dopo poco più di due anni dal lancio del brand Mariù, torniamo da Maria Rosa De Sica per un’intervista nel suo atelier di Milano in via Manzoni 25, e scopriamo che la figlia d’arte (figlia e nipote per la precisione), non è cambiata, anzi, la sua passione, diventata un lavoro, è sempre ai massimi livelli, ed ha portato il piccolo brand del comparto Alta Moda, a farsi conoscere non solo in Italia, ma anche all’estero, sia in Europa che in Asia, riscuotendo parecchio successo.

Mariù di Maria Rosa De Sica sta diventando uno dei tanti fiori all’occhiello della moda made in Italy, e parlando con lei scopriremo che molto di questo successo deriva non solo dai suoi studi, ma dalle sue esperienze lavorative (come lo stage da Ferragamo) e dal modello educativo che l’ha vista evolversi da figlia d’arte ad artista vera, in prima persona.

Cominciamo con una domanda classica: da cosa nasce la tua passione?
In realtà nasce dalla mia famiglia, cioè nasce dai miei studi cinematografici e teatrali, nei quali ho studiato il costume del cinema, del teatro dell’opera e scenografia, che poi sono due aspetti di me che continuo a coltivare. Quando ne ho la possibilità infatti, collaboro con spettacoli teatrali oppure corti e videoclip.

Durante questi studi che sono durati 3-4 anni, ho capito che la mia passione era disegnare costumi o meglio, abiti, e la mia seconda formazione infatti è il fashion design, lo styling e l’editing.
Questa convinzione si è rafforzata durante lo stage che ho fatto da Ferragamo ed è emersa in me la voglia di costruire qualcosa che possa rimanere, perdurare nel tempo, ed allora insieme al mio fidanzato, abbiamo deciso di intraprendere questa sfida.

In modo un po’ incosciente abbiamo iniziato quest’avventura proprio durante la crisi, ma si dice che “se riesci a formarti in un periodo difficile, ti fai le spalle forti”, e credo che per noi quest’esperienza sia stata formativa, perchè stiamo crescendo, anche se siamo ancora piccoli, ma ci stiamo posizionando bene, soprattutto all’estero, ed io credo molto nel made in Italy.
Il nostro infatti è un prodotto interamente italiano, dai tessuti ai complementi, acquistiamo solo prodotti italiani e produciamo, ovviamente, solo in Italia.

Nonostante tu sia figlia d’arte, hai iniziato in questo settore partendo dalla gavetta, cioè da uno stage presso Ferragamo, come mai questa scelta?
Sono cresciuta in una famiglia dove per il cinema era importante la gavetta, ed anche se il cognome è importante, non lo nego, sono dell’idea che se non sai lavorare non ottieni nulla, nemmeno se hai un cognome famoso alle spalle.

Essere figlia d’arte poi ha i suoi pro e i suoi contro, perchè hai gli occhi puntati addosso, ed ogni cosa che fai viene analizzata più volte, non dimentichiamolo.
Per mia fortuna ho avuto mio nonno che ha insegnato a mio padre che la gavetta era una cosa importante per formarsi nel mondo dello spettacolo, e mio padre ha fatto lo stesso con me e mio fratello.

Penso che la scuola più importante sia stata proprio quella di Ferragamo, tutto quello che ho imparato lo devo a Ferragamo, gli studi sono stati meravigliosi e rifarei tutto quanto, ma se non fossi andata a fare lo stage da Ferragamo non avrei avuto quella conoscenza che ho ora, e che sto continuando a far crescere.
E poi ho avuto l’opportunità di lavorare per una grande azienda italiana, a conduzione familiare, e questo è stato un gran dono, perchè non tutti lo possono provare.
Oggi ci sono tantissime belle aziende in Italia, ma a livello familiare sono pochissime e sono un patrimonio che va preservato.

Come ti sei trovata nel tuo stage da Ferragamo?
Benissimo, ed ho un bellissimo ricordo di quell’azienda, e mi auguro un giorno di arrivare ad assomigliare a loro.

Quale è il momento in cui hai deciso di fare della tua passione, il tuo lavoro?
Finito lo stage di 6 mesi, mentre cercavo altri stage, ho pensato “certo che se riuscissi a mettere in pratica quello che disegno e che ho in mente, sarebbe fantastico”, e visto che ho avuto la fortuna di avere come tata una sarta che mi ha insegnato tante cose, tra le quali anche ad usare la macchina da cucire, ho iniziato a fare delle cose per me e per le mie amiche, e da li Federico (il mio fidanzato) ha detto “facciamolo noi allora, se è quello che senti nella pancia, lo dobbiamo fare”, e così è stato.

Chi sono le tue clienti tipo?
In realtà il mio target è vasto, morbido, si va da ragazze di 22-24 anni alle giovani donne di 40-45 anni, perchè quello che disegno è sempre molto femminile, con strutture molto semplici, lineari, geometriche, e quindi soddisfano anche i gusti un po’ più esigenti.

Abbiamo sempre cercato di accontentare una fascia abbastanza ampia di donne, che però cerchi qualcosa di veramente femminile.

Vesto una donna, infatti, che vuole essere femminile ed elegante dalla mattina alla sera, perchè sappiamo che ormai quello che ti metti di giorno è quello che ti rimane la sera, e devi saper proporre un closet alla donna, formato da quei capi che non puoi non avere, come un blazer, un abito, una gonna e una camicia. Capi che devono essere nel tuo guardaroba e che puoi indossare dalla mattina alla sera, perchè comunque siamo delle donne dinamiche e indipendenti ma che non riunciano alla femminilità.

Nella tua produzione esistono anche abiti da sposa?
Si a dire il vero faccio anche abiti da sposa, però solo su richiesta per ora. Abiti che si chiamano sempre Mariù ma che hanno una comunicazione a parte, e lo faccio per quelle clienti che mi contattano privatamente, magari anche per chiedermi di riadattare un modello di una collezione alle loro forme.

È molto bello fare abiti da sposa, perchè il rapporto con la cliente è molto intimo e diretto e devi cercare di capire ed esaudire il suo sogno, il suo desiderio, e quando poi consegni il lavoro finito è magnifico vedere il suo sguardo soddisfatto.

Quali sono i mercati più importanti per Mariù?
Quello italiano assolutamente, anche se l’estero, seppur di poco, è quello dove vendiamo di più, perchè credono molto nel prodotto made in Italy e quando credono in un progetto lo sostengono fino in fondo.
All’estero poi in questo particolare momento di crisi economica, riscontriamo meno problemi che in Italia.

I film ispirano le tue collezioni?
I film sono un po’ il filo conduttore delle mie collezioni, cerco di raccontare il realismo negli abiti, perchè credo che gli atteggiamenti quotidiani siano molto interessanti da poter comunicare, ed anche il territorio è importante.

Nell’ultima collezione primavera estate per esempio, la comunicazione è stata realizzata ad Ostia, in una tipica spiaggia romana, perchè volevamo raccontare il periodo non soltanto balneare ma anche storico, per far emergere l’emozione degli anni ’50 del boom italiano, perchè come dicevo, crediamo molto nella territorialità, e le nostre radici si devono sentire attraverso l’abito. Comunque tutto può influenzarti, un film, una foto, una musica, magari proprio degli anni ’50-’60 e da lì inizi a ragionare buttando giù le prime idee.

È anche vero che tutta la mia creatività comincia più che altro dai tessuti. In pratica io parto dal contrario, molti hanno un’idea precisa dalla quale cominciano, e la sviluppano attraverso i tessuti adatti, io invece parto dai tessuti, faccio molta analisi, e faccio molta ricerca sui tessuti interessanti, e quando trovo la chiave di lettura giusta su un tessuto, allora mi focalizzo su quello che voglio comunicare, perchè in realtà è il tessuto che mi porta a raccontare, è la matericità, il tocco di quel tessuto che mi porta a creare una storia.

Magari è anche un retaggio delle mie radici, però alla fine quello che ti influenza è tutto quello che ti circonda, basta saperlo osservare, ed ognuno può trovare la sua chiave.

La sperimentazione materica più azzardata che hai fatto?
In realtà faccio una cosa un po’ scomoda, utilizzo molto i tessuti fermi, poco elasticizzati, perchè mi diverto a trovare la soluzione per impiegare questo tipo di tessuti su degli abiti che magari necessiterebbero tessuti più elasticizzati.

Un’ultima domanda: come ti vedi tra dieci anni?
Ah non lo so, – ride – probabilmente sposata!
Mi auguro che tutto questo possa andare avanti, credo molto in questo progetto, non mi demoralizzo mai, sono molto tenace, anche se il momento è molto difficile, soprattutto per le piccole aziende, non mi arrendo e spero che questo continui e diventi il mio vero futuro.

Comunque sono molto aperta, l’importante per me è fare qualcosa di creativo, mi piace fare abiti, amo molto il cinema e continuo tutt’ora a fare la costumista, e spero quindi tra 10 anni di essere ancora qui a fare tutte e due le cose e considerarmi una donna realizzata, e magari anche aggiungendo anche una linea sposa.

Ringraziamo Maria Rosa De Sica per questa bella chiacchierata e ci congediamo augurandole ogni bene, sperando che tra dieci anni, tutto sia all’altezza delle sue aspettative.

di Emilia Santelia

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