Avete presente la sottile differenza tra il seguire la moda e il fare la moda? Ecco, Gucci fa parte di questa seconda tendenza.
Perché più che uno stilista, Alessandro Michele, direttore creativo della Maison, è un vero e proprio regista che gioca con sapienza con gli ingredienti giusti, fino a creare un sortilegio che cattura gli sguardi e calamita l’attenzione.
Il fashion designer ha intercettato per la S-S 2018 l’esprit del marchio, rappresentandolo con un gusto fluido e contaminato dagli influssi made in Los Angeles.
L’atmosfera della passerella è quella di un misterioso club losangelino, “di quelli che se vai non sai se torni” dice Michele, nel quale sfilano silouhette di donne meravigliosamente agghindate con scampoli di un’America provinciale che guarda al futuro.
Lo stilista mixa con disinvoltura personalità diverse, epoche, stili e citazioni, rimanendo però sempre fedele al concept della Maison: Gucci rimane sempre Gucci.
In passerella sfilano tute sportive anni ’80, gilet sui cui tessuti si pavoneggiano i personaggi di Walt Disney e bomber su cui campeggiano lo stemma dei duchi del Devonshire e le scritte «Spiritismo» e «Animal magnetism», frutto di suggestioni affiorate dalla lettura di vecchi libri.
Genio e creatività si fondono così in una moda che è un universo da scoprire. «Non una storia, ma mille. Un racconto sarebbe troppo claustrofobico», dice lo stilista che racconta di aver racchiuso nei suoi abiti: «spunti di bellezza occulta che mi hanno ispirato. Sono attratto da tutto ciò che è irrazionale. Le spiegazioni scientifiche ammazzano i sogni.
La nostra epoca è troppo illuminista, disintegra la poesia». Di poesia, in questa collezione, ce n’è davvero. E non è merito delle luci stroboscopiche o della musica studiata ad hoc, ma del viavai di abiti che raccontano lo stile inconfondibile di un’estetica originale e personale che è diventata ormai un’istituzione nel mondo più fashion. «Un’istigazione – la definisce lui – un inno alla diversità. Adoro l’ambiguo e tutto ciò che non esiste», conclude Michele che, per citare gli appunti forniti alla stampa durante la sfilata, con questa collezione conferma che «l’atto creativo è un atto di resistenza».
Di Sonia Russo