Il mobbing è un insieme di comportamenti violenti perpetrati da parte di superiori e/o colleghi nei confronti di un lavoratore, prolungato nel tempo e lesivo della dignità personale e professionale nonché della salute psicofisica dello stesso.
Solo una donna consapevole dei propri diritti può davvero tutelare se stessa: è questo il punto di partenza del seminario che si è svolto in questi giorni a Roma e che è stato tenuto dalle avvocatesse dell’associazione Codice Donna. “Il mobbing nel lavoro e nella vita familiare”: è questo il titolo dell’incontro che ha illustrato il tema sotto vari punti di vista: all’interno dei luoghi di lavoro e della famiglia, commentando situazioni in cui per effetto della gerarchia all’interno del posto di lavoro, si innesca un rapporto di manipolazione, invasione, coazione, che mette in pericolo la vita della donna che lo subisce.
Un tema sempre attuale, quello illustrato da Codice Donna. Soltanto nelle scorse settimane un’ex impiegata della scuola pubblica di Fermo ha voluto rendere pubblica la sua esperienza «Ho subito da un superiore comportamenti vessatori diretti a minare la mia autostima e ledere la mia professionalità – ha detto la donna -. Per salvaguardare il mio benessere psico-fisico sono stata costretta ad allontanarmi dall’ufficio per un periodo (come consigliano le norme sulla sicurezza nei posti di lavoro) per seguire un percorso con l’aiuto di un esperto».
Qual è il primo segnale che si è vittima di mobbing? Un primo segnale a cui prestare attenzione sono le critiche ingiustificate espresse a voce alta e davanti ad altri colleghi: un modo per sminuire la propria professionalità pubblicamente.
Attenzione anche ai pettegolezzi e ai tentativi di isolamento. Un altro tipico comportamento messo in atto da chi pratica mobbing è la modifica, anche frequente, delle regole da osservare in modo da rendere difficile la normale routine lavorativa: il cambiamento dei turni, degli orari o dell’ordine gerarchico di svolgimento dei compiti sono solo alcuni esempi.
Il sovraccarico di lavoro e il tenere nascoste alcune informazioni rilevanti alla vita lavorativi sono altri atteggiamenti da tenere d’occhio.
La prima mossa è quella di chiedere al molestatore di smetterla, ma sappi che per ripicca potrebbe rincarare la dose: mantieni la calma e non agire d’impulso! Documenta tutti gli episodi di mobbing, prendendo nota di orari, date, luoghi e nomi di eventuali testimoni. A questo punto organizza una riunione con il tuo supervisore e porta con te tutta la documentazione. Se è il tuo capo a farti mobbing, rivolgiti alle Risorse Umane. Non suggerire una linea d’azione a meno che non ti sia richiesto direttamente. A questo punto, se nulla cambia, sappi che hai un’arma a tua disposizione: la denuncia! Consulta un avvocato e considera la possibilità di intraprendere vie legali.
Spesso, purtroppo, intentare una causa per mobbing espone la vittima a un percorso lungo e psicologicamente stressante. «All’improvviso – racconta una vittima –, ci si ritrova da soli ad affrontare e documentare situazioni che nell’ambiente di lavoro tutti conoscono, ma che nessuno è pronto a testimoniare per paura di spiacevoli ripercussioni sulla propria persona». Non demordere: ricordati che non stai inventando niente. Ma preparati ad avere un sostegno emotivo e psicologico forte a cui appoggiarti nei momenti più duri.
Ma se non bastasse? Se i comportamenti vessatori dovessero continuare? Se alzarsi la mattina diventasse un vero inferno?
In questi casi, particolarmente gravi, non resta che rivolgersi ad un professionista e trovare con lui la soluzione legale al problema.
La legge ci tutela e i tribunali iniziano a dare più attenzioni a queste denunce. Primo fra tutti un Tribunale Lombardo che ha dato ragione ad una dipendente che per anni ha dovuto sopportare un pressante mobbing verbale.
A tal proposito, per agevolare tutti, abbiamo deciso di pubblicare in esclusiva le sentenze del Tribunale di Como che, appunto, per la prima volta in Italia, ha accertato l’illegittimità delle molestie verbali di contenuto sessuale ai danni di una lavoratrice, stabilendo al contempo un risarcimento record, di oltre 150.000 euro. Ecco le parole del legale della lavoratrice, Avv. Domenico Tambasco del foro di Milano, che ha seguito la difesa nel corso dell’intero processo:
Siamo di fronte ad uno storico avanzamento della civiltà del diritto nella materia delle discriminazioni di genere. Per la prima volta nella giurisprudenza italiana, con parole inequivoche, viene espresso il principio della tolleranza zero verso le molestie verbali -psicologiche, considerate gravemente lesive della dignità della persona. Gravità espressa, in questo caso, dalla speciale entità del risarcimento riconosciuto a carico del datore di lavoro, ben 105.000 euro che, considerando anche le spese processuali liquidate, supera addirittura i 150.000,00 euro.
Lasciamo spazio alle parole del Giudice, piu’ eloquenti di ogni considerazione:
Non ci resta che sperare in un mondo lavorativo migliore per tutti.
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