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Storie di moda

Storia, bellezza e fantasia. L’intervista a Sarah Gismondi

Bella, giovane e tenace. La incontri e ti conquista con la sua dolcezza mentre la sua energia ti entra dentro. Ti coinvolge in un viaggio nel tempo fatto di bellezza, sapere e magia.

Parliamo di Sarah Gismondi, una giovane designer di gioielli ma con alle spalle esperienza da vendere.
“Figlia d’arte” ha fatto strada nel mondo dei preziosi con una forte individualità, regalando alle sue creazioni un fascino unico.
Oggi grazie alla sua determinazione è nato Gismondi Atelier,  un laboratorio orafo basato a Genova, dove, insieme ad Alessandro Loffredo, un artigiano che cura ogni aspetto della lavorazione, rigorosamente a mano, produce collezioni che strizzano l’occhio al passato ma guardano al futuro.

Un laboratorio fuori dagli schemi, sembra immerso in un’antica dimensione temporale, perché un vero artigiano ha bisogno degli strumenti adatti per lavorare. Molti di questi sono antichi ed appartengono all’epoca in cui, per realizzare un gioiello, erano imprescindibili attrezzi semplici e robusti.

Conosciamo insieme lei, e la sua arte!

La tua è una storia di famiglia, da generazioni lavorate nel settore orafo e del restauro, ti va di raccontarci tutto dall’inizio?

L’azienda di famiglia nasce nel 1763 come bottega di fraveghi (in genovese significa artigiano). All’epoca i nonni si occupavano delle fibbie in metallo prezioso per le scarpe dei nobili (dei calzolai in sostanza, sorride!). Poi sono passati agli arredi sacri, al loro restauro ed alla creazione su commissione.

Pare che la bottega possedesse un grande crogiolo e per questo fosse il punto di riferimento di tutti i laboratori della zona. Negli anni, dall’argenteria si allargò il campo all’oreficeria e poi alla gioielleria.

Furono anni d’oro che videro il susseguirsi di 7 generazioni.

Nel 1999 ho cominciato ad affacciarmi a questo mondo prezioso e dal 2010, con il Sarah Gismondi Atelier, ho raccolto esperienza e radici per tornare alle origini con un laboratorio artigianale orafo che ad oggi utilizza solo strumenti meccanici antichi come un’incudine del ‘700. Ora più che mai sento il corso di questa storia che mi appartiene.

Restaurare gioielli antichi è soprattutto ricerca?

Si vuol dire conoscere la storia e le tecniche antiche. Quando eseguiamo un restauro cerchiamo sempre di operare in modo conservativo e per ciò abbiamo bisogno di dialogare con l’oggetto e di conoscerne il trascorso.
Ci sono aneddoti di cui ci vuoi parlare?
Sono diversi, perché ogni giorno per noi è una scoperta. L’ultimo cronologicamente riguarda la telefonata che un prete mi fece per il restauro di un ostensorio.

In un secondo mi sono sentita catapultata indietro di 250 anni. Quel prete, don Sergio, mi conobbe da ragazzina in quanto amico della zia Paola, colei che mi avviò a quest’attività. Mi sono sentita chiamata dal vento della tradizione e onorata della fiducia riposta in me. Ora quell’oggetto sacro risplende sull’altare della Chiesa di Santa Marta e curiosarlo dall’alto del matroneo, è stato davvero emozionante.

Il mito dell’oro blu? Ad esempio

Il mio socio Alessandro Loffredo, un orafo che racchiude in sé artigianato, alchimia e stregoneria, è un grande sperimentatore. Leggendo un libro ha trovato la ricetta dell’oro blu, usato anticamente per contrabbandare il metallo prezioso visto il suo colore simile al ferro. È molto duro da lavorare e per questo lo utilizziamo solo come decorazione. È davvero affascinante!
Ma non scordiamoci l’oro verde!! 🙂

Torniamo al presente, parlaci di te, come mai la scelta di creare gioielli “unici”?

Ho sempre amato rapportarmi con la clientela. Da ragazza volevo studiare psicologia, poi gli eventi familiari mi hanno portata molto presto in bottega, ma mi è rimasta la curiosità verso il prossimo e la sua unicità. Disegnare un gioiello addosso ad una persona, significa entrare in relazione con lei, ascoltare la sua storia, fondersi con essa.

Il risultato è per forza un gioiello unico come chi lo indossa. Ho la fortuna di abitare un mondo prezioso non solo per i metalli che vengono plasmati nel nostro laboratorio, ma anche per contatto costante con il vissuto di chi incontro.

Il tuo rapporto con l’arte?

L’arte per me è seminare il sentimento. Qualunque forma espressiva in grado di condurre l’individuo in contatto con l’universo sensoriale e con il sentire un’emozione, per me è Arte.

È tutto ciò che mette in relazione le persone e i loro mondi spesso paralleli. Mi nutro quotidianamente di quest’arte…

I momenti più difficili nel tuo lavoro e quelli che ti fanno sentire al top.

I più difficili sono quelli legati alla burocrazia. Un’ impresa oggi è soggetta a molti adempimenti che spesso rallentano il processo produttivo, sebbene necessari per fronteggiare il mercato.
Mi sento al top quando incontro le persone che mi affidano la loro storia, oppure quando nasce un’idea, nel momento della pulsione creativa. In certe occasioni, vola il tempo, non avverto neppure la fame. In questo casi devo agire!

Qual è la collezione a cui sei più legata?

La collezione Sforza. È la sintesi tra l’oreficeria e la scultura, in pratica racchiude la mia origine di argentiera insieme alla più raffinata evoluzione dell’arte orafa.

Oltre al restauro, nel processo creativo dove trovi ispirazione?

Trovo ispirazione nella natura e nel rapporto con le persone che incontro.
Oggi quali aspetti ti interessa di più esplorare dal punto di vista del design?
Amo la matericita’ e tutto ciò che non ha una forma definita, ma piuttosto che mi racconta il gesto di chi ha creato.
Nel contempo amo la pulizia delle linee ed una geometria nascosta, non detta, aulica…

Abbini materiali diversi fra loro. Cosa desideri trovare in questa ricerca dei contrasti?

Mi piace molto abbinare oro e argento. Amo il contrasto lucido e battuto, ma soprattutto nella ricerca del contrasto trovo la tridimensionalità di un oggetto e in qualche modo la sua forma di vita autonoma, impreziosita poi dalla personalità di chi lo indossa.

Il gioiello per te è…

Il gioiello per me è dialogo. È il contenitore di mondi preziosi che s’intersecano: quello di chi lo indossa, di chi lo ha realizzato, chi lo ha consigliato e chi lo ha donato.

Quanto ciò che vivi alimenta le tue scelte di design?

In tutto e per tutto.

Di cosa vi occupate nel tuo atelier?

Creiamo gioielli su misura, oppure collezioni che attendono di essere scelte perché comunicano un messaggio, restauriamo e ripariamo qualunque oggetto prezioso. Inoltre trasformiamo in nuove forme i gioielli che non rispecchiano più chi li indossa.

Lavorate con l’estero?

Si anche

Chi è il vostro cliente tipo?

Giovani donne/uomini che credono nel gioiello personalizzato. Amiamo rapportarci con i giovani che ci offrono sempre ottimi spunti creativi!

Scommesse per il futuro?

Una bottega su strada, grande che possa ospitare anche altre forme d’arte e che sia aperta alla formazione.
Credo fortemente che oggi più che mai, il lavoro non si cerca, si crea.

Sarah Gismondi – photo credit Marcello Rapallino

Redazione

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