Alle sfilate di Parigi va in scena la nuova visione della moda di Maria Grazia Chiuri. In una location sensazionale la sfilata di Christian Dior è insieme autobiografia, autoritratto e racconto.
“Associare luoghi, immagini, parole. Liberamente, con lo sguardo di oggi”.
Per la collezione prêt-à-porter Autunno-Inverno 2020-2021, Maria Grazia Chiuri traccia una mappa delle emozioni attraverso il diario personale della sua adolescenza. Due fotografie di sua madre la riportano a quel particolare periodo della vita, quel laboratorio in cui nascono i prototipi dei nostri futuri potenziali.
Scorrono immagini di donne forti, comprese foto di attrici che sono state fonte di ispirazione per le clienti della boutique materna.
Scatti rivisti oggi con una nuova consapevolezza: dallo studio di Germania Marucelli a Milano, progettato dall’artista Paolo Scheggi a quello di Mila Schön con Mina fotografata da Ugo Mulas e, infini, i ritratti di Carla Accardi, artista coraggiosa che lei ha imparato ad amare attraverso i racconti delle amiche curatrici.
Quel repertorio di immagini, diventato mood board, ha reso evidente a Chiuri gli elementi ricorrenti nel suo personale Dictionary of Fashion: i jeans, i check di cui Monsieur Dior diceva “I love checks. They can be fancy and simple, elegant and easy, young and always right”.
Check ritrovati in un completo di Marc Bohan: è questo look, dove sono montati in sbieco, che ispira le costruzioni delle gonne in collezione. Poi il caban, le gonne a pieghe. I colletti con la cravatta. Il bianco e nero. Nuclei precisi di una collezione perfetta nei suoi equilibri, come nella sequenza dove un foulard a pois ritrovato nell’archivio Dior diventa punto di partenza per abiti di lunghezze diverse che esplodono le infinite possibilità di questa stampa.
Scriveva Monsieur Dior: “Polka dots are like checks: they bring charm, elegance, ease and are always in fashion.” Così, rosso su fondo nero. Nero su fondo beige. Blu su fondo bianco. E poi le frange, statement personale, ornamento ma anche pretesto costruttivo in movimento di lunghe gonne. Gli scamiciati con sotto le camicie o le maglie.
Gli abiti che nella materialità del cadì e in quei colori molto amati da Bohan avvolgono i corpi lasciandoli liberi.
La maglieria declinata in tutti i pezzi basici del guardaroba: maglie, giacche, gonne, pantaloni.
Lo spazio della sfilata diventa l’occasione per coinvolgere il collettivo Claire Fontaine, il cui lavoro, Chiuri ha visto per la prima volta proprio alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma.
Meta prediletta della sua formazione, che ora custodisce l’archivio di Carla Lonzi, figura carismatica del femminismo italiano che dalla critica d’arte passò alla radicalità della rivolta femminista.
Così, “Io Dico Io – I Say I”1 di Lonzi – che è anche titolo della mostra, supportata da Dior, dedicata a una linea dell’arte italiana al femminile che inaugurerà a marzo alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna a Roma – diventa il punto di partenza per una serie di frasi manifesto: evocare Lonzi permette di far emergere il racconto di quella potente affermazione del sé che il femminismo ha portato nelle relazioni tra donne. La frase è una dichiarazione gioiosa di singolarità, e allo stesso tempo un modo creativo e collettivo di affrontare le molteplici sfaccettature della soggettività femminile. E del progetto infinito del femminile.
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