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Interviste

Michele Wad Caporosso si racconta su Sfilate.it

“Mille progetti e un gomitolo di sogni”. Michele Wad Caporosso li coltiva dalla sua infanzia, ad Altamura, in Puglia. Ci ha creduto, con tutte le sue forze fin da bambino, e ha trovato il successo con i programmi radiofonici.
Lavorare in radio per lui è un momento di auto-terapia e di libertà.

Conosciamolo attraverso le sue parole!

Ciao Michele, raccontaci un po’ di te , dove hai trascorso la tua infanzia e che periodo è stato?

Sono pugliese, ho vissuto fino all’Università in Puglia, ad Altamura in provincia di Bari.Il periodo dell’infanzia e pre-adolescenza è stato un periodo bello e combattuto, come lo è per tutti

Quali erano le tue passioni e i tuoi sogni da bambino?

Non ne avevo 1 in particolare, erano mille uno sull’altro, un gomitolo di sogni, e infatti non capivo quale fosse il sogno. Anzi: non l’ho ancora capito in realtà. Il gomitolo è ancora qui con me.

Che tipo di ragazzo sei caratterialmente?

Quello che vedo io è una persona molto appassionata in tutto ciò che fa, un ragazzo pugliese a Milano determinato ma anche parecchio friendly. Quello che vedono gli altri non lo so, ogni tanto me lo chiedo, ma non sempre.

Quali sono state le tue prime esperienze lavorative?

Le prime esperienze lavorative che ho fatto erano quelle brutte  e mi hanno insegnato a cercare un lavoro che mi piacesse veramente, non tanto per farne uno. Ad oggi non sento di fare un lavoro, cioè non vivo quello che faccio come un lavoro, sarebbe riduttivo.

Sei conosciuto al grande pubblico anche per i diversi programmi radiofonici che hai condotto e che stai conducendo, quando e come è nata l’occasione di poter lavorare in radio?

Un giorno, a caso, nella mia piccola città. Non sapevo niente di radio, ero piccolo, ma percepii quella magia che è eterna. Iniziai a farla, mi ha seguito in tutto, era ed è un momento di auto-terapia e di libertà.

Come hai vissuto inizialmente le tue prime esperienze radiofoniche, eri emozionato/intimorito oppure ti sei sentito subito a tuo agio?

Impacciato, è come nelle prime esperienze sentimentali. Dopo un pò ti scopri, ti metti comodo, impari a conoscere, ma una buona dose di adrenalina e di ansia c’è sempre. E forse: è giusto che sia così.

Quali sono le skills più importanti che secondo te deve avere un bravo speaker radiofonico?

Cultura, credibilità e culo.

Hai intervistato centinaia di artisti, solitamente cerchi di creare empatia tra te e l’intervistato per far sì che sia il più naturale possibile oppure preferisci tenere una sorta di distacco professionale?

E’ tutto molto casuale, perché spesso non c’è nemmeno il tempo di pensare a come creare empatia. Se c’è c’è.

Ti è mai capitato di intervistare una persona che nei tuoi confronti si è dimostrata ostile, se si come ci si comporta in questi casi?

Capita, è raro ma capita. Si tratta comunque di persone che si incontrano, davanti a tutti, e  ognuno deve giocare la propria partita, quella della promozione da un lato e quella dello show dall’altro. Molto spesso però si gioca nella stessa squadra.

Da diversi anni sei una delle figure più importanti della scena Urban in Italia, cosa ti affascina di più di questo movimento?

E’ lì che ho ricevuto l’educazione, dopo quella della mia famiglia ovviamente. La musica, il ballo, la gente, la strada, i club ti formano molto di più di quanto la gente possa pensare.

La scena rap in Italia in questi ultimi anni è cambiata molto, tu che la segui da tantissimo tempo ci sai dire quali sono secondo te i motivi che hanno fatto diventare la trap così ascoltata rispetto a qualche anno fa?

Il motivo principale sono i social media, l’ondata del 2016 deve tutto all’inserimento delle Stories su Instagram. I fan del rap hanno potuto vedere da vicino la vita dei vari artisti, hanno sognato con loro e, in molti casi, di essere loro. E infatti il numero di aspiranti rapper è esploso in maniera esagerata negli ultimi 5 anni.

Sei anche un Dj di successo, hai suonato in moltissimi locali, c’è un’esperienza che ti ricordi con particolare piacere?

Tante, anche se I momenti di stage diving hanno regalato quel “tocco” in più con la gente che è indimenticabile, soprattutto dopo quasi 3 anni in cui “toccarsi” è stato praticamente impossibile.

Ti piace il mondo della moda? Brand che indossi più spesso?

Discorso difficile, alterno momenti brand-addicted e momenti in cui vorrei essere il più flat possibile. Che poi è la perfetta alternanza tra momenti di insicurezza e momenti di serenità. La moda è una forma molto sottile di psicologia.

Che rapporto hai con i tuoi fans? E con i tuoi haters?

Gli haters non li considero più, i fans non sento di averli, cioè è sempre bello sapere di avere persone che mi vogliono bene, che mi seguono nelle cose che faccio, ma non li considero fan. Al massimo: supporters.

Quali sono i tuoi obbiettivi futuri e come ti vedi tra 10 anni?

Non ne ho la più pallida idea, l’epoca in cui viviamo è così confusa e instabile, faccio finta di non pensarci, anche quando mi sveglio all’improvviso di notte per farmi domande tipo questa. Non succede spesso, ma succede.

Alessandro

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Alessandro

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